Storie in viaggio

Vacanze o viaggio
Per qualcuno sono sinonimi. Ad Agosto soprattutto.
In qualche modo è così per noi: quindici giorni di “ferie”.
Saltiamo sul camper con in mente una zona dove andare.
La prima tappa sufficientemente definita. E un po’ di suggestioni per il resto del viaggio.

Non è stato diverso quest’anno.
E’ l’anno dell’Italia. E forse anche la volta di tornare in zone dove siamo già stati.
Per rivedere e per scoprire nuove mete.
Il pensiero di tornare in centro italia lato Adriatico mi ha frullato nella testa per gran parte del viaggio di ritorno da Amatrice a febbraio.
Anche un modo tangibile di essere vicini alle popolazioni colpite dal terremoto.

Come succede da qualche anno a questa parte, fra le suggestioni messe in borsa per il viaggio, ci sono alcune location che voglio fotografare.
Senza stravolgere il percorso di viaggio.
Mi sono prefisso di scattare meno.
E di farlo per raccontare qualche storia.
Vera. E vissuta.

Buon viaggio

 


Cinque anatre

“Cinque anatre volano a sud:
molto prima del tempo l’inverno è arrivato.
Cinque anatre in volo vedrai
contro il sole velato”

Ricordi ed emozioni.
La poesia per questo ci tocca.
E un po’ anche la canzone d’autore.
Non è solo la spensieratezza del cantare.
E’ legare al verso di una canzone, un momento della nostra esistenza.

Stesse sensazioni con le fotografie.
Quando poi evocano una canzone, la combinazione è avvolgente.
E al diavolo se non rispettano le regole.
Sono li a ricordarmi quell’emozione
A ricordarla a me.

“Cinque anatre andavano a sud:
forse una soltanto vedremo arrivare,
ma quel suo volo certo vuole dire
che bisognava volare”

 


Ave Maria

E’ presto. Non sono ancora le sette.
In giro runner, pescatori e un fotografo. A caccia dell’alba.
Siamo qui da poche ore, ma davanti a questo altarino ci sono già passato tre volte.
Sempre in bici. Sempre senza fermarmi.
L’avevo notato, più per il fatto che fosse un po’ in mezzo al nulla: alle spalle edifici abbandonati, davanti erbacce che precedono la spiaggia.
Zona non molto frequentata.
Non ci sono case ne campeggi. Tanto meno stabilimenti balneari.

Ho già dato la caccia all’alba e ai gabbiani. E forse spaventato qualche anatra.
Sto spostandomi un po’ dal fiume su cui mi ero appostato.
Un giro di perlustrazione così da avere qualche nuovo punto da fotografare domani.
Ok posso rientrare.

Mi giro e lui è li. Aggrappato. Per non cadere o forse per non lasciarsi andare.
E’ venuto in bici. L’ha posata li.
Non ci è passato per caso.
La forza con cui rimane attaccato mi emoziona.
Di certo è li per qualcuno.
E tutti i giorni torna a fargli visita.

“Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo
di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo:
non posso o non so dir per niente se peggiore sia,
a conti fatti, la sua solitudine o la mia…”

Vorrei quasi scusarmi per avergli rubato questo momento.
Cercavo l’emozione della natura all’alba, ho trovato un Uomo.
Lo lascio alla sua preghiera.

 


La casa costruita sopra la roccia

La prima delle tappe fotografiche in cui volevo tornare.
La stagione e l’ora non sono le migliori. Ma il fascino di questo luogo rimane intatto.
Quando venimmo Francesco aveva da poco compiuto il primo anno di vita. La pioggia ci fece scappare, per fortuna dopo averla già visitata.
L’idea era quella di salire con il camper nella stessa curva dove ci fermammo allora e magari di dormire li.
Così che la notte sarei potuto uscire con zaino, cavalletto e reflex.

Ahimè la strada è stata chiusa al traffico. Si sale solo con la navetta.
Almeno ad agosto.
Turisti tanti.
La chiesa di Santa Maria della Pietà è chiusa. Stanno facendo le prove per uno spettacolo che ci sarà alla sera.
La Rocca invece si può visitare.
Ma il racconto che ci fa la guida non è così avvincente come il luogo meriterebbe.

Qualche scatto alla figlioccia. Anche con mamma e papà.
Non si può non immortalarli in questo scenario.
Qualche scatto ad Andrea che gira con la sua compatta e il mio Pixi ed è sempre pronto a mettersi in posa.
Patty non si mette in posa. Ma il mio occhio la cerca sempre.
Francesco invece non ne vuole sapere. Ormai rifiuta categoricamente di farsi fotografare.
Qualche scatto riesco a rubarglielo.
Visto che vogliamo fare un’autoscatto di ricordo (mica un selfie nè!) devo preparare macchina e composizione: “Ciccio ti metti li così vedo se funziona l’inquadratura ?”
Click.
E vai: catturato!
Sembra di spalle. In realtà sta ammirando la Rocca.
O almeno così me la sono venduta.

Quattordici anni. E’ alto come papà. Possiamo scambiarci le scarpe.
Il primo anno di liceo che lo attende fra poche settimane.
Quando aveva 14 mesi eravamo qui. Lui nello zaino.
Prima vacanza in camper per lui.
Prima vacanza in camper per noi con lui.
Viaggiando, dal sedile dietro guardava il panorama. E dormiva. Quanto dormiva.

Uno scatto al lupo che accompagna il Falconiere che fra poco farà il suo show.
Uno scatto a catturare la chiesa attraverso le finestre della rocca.

Una birra al bar che non ricordavamo esserci nel borgo poco più giù ed è ora di tornare ad aspettare la navetta.
Il pomeriggio sta terminando ed è ora di trovare un posto dove fermarci per la notte.

 


In due

Dal mare al mattino ai 2100 metri della sera.
Dal caldo afoso della spiaggia al freddo di una notte in montagna.

Una delle tre tappe che immaginavo di fare nel mio percorso fotografico: Campo Imperatore.
L’ascesa da Santo Stefano in Sessanio, con le ultime luci del giorno, ci ha permesso di godere di un panorama fiabesco.
Dobbiamo ringraziare il proprietario del campeggio che non ci ha tenuto il posto. Altrimenti ci saremmo saliti solo il giorno dopo.
La piana con le sue onde, con gli animali al pascolo e una stradina che percorriamo da soli.
O quasi.
Non fu così quando passammo la prima volta, diversi anni fa.

L’arrivo in cima coincide con l’inizio della visione chiara delle stelle.
Essendoci qui l’osservatorio astronomico sicuramente scattare foto sarà proprio l’esperienza che cercavo.
Ma non avevo fatto i conti con il vento. Tanto vento. Troppo vento.
Cavalletto piazzato, macchina impostata e via agli scatti per ottenere il mio primo startrail ambientato.
Via Lattea no. La luna sale presto ed è ancora quasi piena.
Il risultato non è quello che mi aspettavo. Colpa del non aver zavorrato adeguatamente il cavalletto.

Al mattino il vento non si placa.
Non siamo sufficientemente attrezzati per andare su per i sentieri.
E non tutti apprezzano questa forza che ti spinge così forte.

Scendiamo nella piana. Ci fermiamo perchè qui il vento quasi non si sente.
Facciamo due passi, fino ad avvicinarci ad un gruppo di mucche e di cavalli.
Francesco, diversamente da quello che ci saremmo potuti aspettare, si avvicina ad accarezzare i cavalli.
Almeno al loro pelo non è allergico. Per ora.
La piccola Carola ammira gli animali. Soffre un po’ le mosche.
Ma Andrea, che è “bellissimo”, la distrae con una lezione sulle varie tipologie di “torte” che si trovano in mezzo al campo: quella di cavallo, di mucca, di pecora.

Non una nuvola. Nonostante il vento in quota. Almeno ora.

Questa immagine è quella che ci portiamo via: una distesa di prati ad almeno 1600 metri di altezza.
Il Gran Sasso che domina su tutto.
E due camper là che ci attendono.
Perché questa è stata anche la prima volta in cui non abbiamo viaggiato da soli ma in gradita compagnia.
Come per tutte le categorie di persone, non esiste un tipo di camperista standard.
Ognuno ha il suo modo di vivere questa esperienza.
Chi sta fermo sempre nello stesso posto e chi non dorme due notti consecutive senza aver macinato un po’ di chilometri.
Chi solo mare. Chi solo montagna.
Chi aree attrezzate o campeggi, chi ovunque purchè sia sicuro.
Per questo non è semplice riuscire a “muoversi” in compagnia.
Invece l’esperimento è riuscito.
E poi finalmente sono riuscito a stare un po’ con la mia figlioccia.

 


Bella

Signora posso farle una foto ?
Il quadro era troppo bello per farselo scappare.
Ma la via troppo stretta e la finestra troppo bassa per poterla “rubare”
Tentenna. Ma gli garberebbe.
Mi fa un segno. Come ad indicarmi di chiedere al signore in strada affianco a me.
Posso fare una foto a sua moglie ?
Eh si !
Click. Scatto unico.
Posso mica fare la figura di non riuscirci al primo colpo.
Grazie signora”
Al marito:
È bellissima, non potevo non fotografarla
E già che è bella. Me la sono sposata!

 


Con il cuore

Uscendo dalla cena in cui Mauro ci ha deliziati con le specialità Abruzzesi (arrosticini da favola) ci accorgiamo di quanto sia romantica la vista dal terrazzo dell’agricampeggio sul lago di Campotosto.
E poi … stellata da San Lorenzo e riflessi di Luna sul lago.
Ho bevuto troppo per fermarmi a fotografare.
E poi c’è ancora troppa gente. Sono timido e preferisco il silenzio.

Sveglia mezz’ora prima dell’alba.
So che il sole dovrebbe sorgere li in mezzo ai monti e già mi immagino i riflessi.
Esco dal camper e scendo al terrazzo. E’ meno ”forte” di quello che mi ero immaginato.
La vista merita. Ma in qualche modo mi attendevo colori più accesi. Il rosso del sole non arriva.
Le nuvole verso il mare ne impediscono la vista. Il Gran Sasso sulla destra si staglia chiaro.
Ma è come se mancasse la magia.

Passi nella ghiaia. Nel silenzio del posto un po’ mi spaventa.
Mi giro.
“Parin e marina” come diciamo noi piemontesi.
Parin e marina sotto braccio che vanno insieme al bagno.
Mi salutano. Li saluto.
Sono bellissimi. Superati i 70 di sicuro.
Sono in vacanza con il camper e ben prima delle sette stanno andando in bagno reggendosi a vicenda.
Dove si firma ?
L’ho pensato.
Un sorriso. Il cuore che trova pace.
Mi giro e quello che prima mi sembrava un anonimo scorcio di montagna ora lo vedo con il cuore.
Il tempo di impostare la macchina e dalle nuvole, in rapido movimento fra i monti, spuntano due raggi di sole.

“Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore.” HCB
Ora ho capito.

 


E luce fu

Al telefono i gestori dei campeggi, se sei in camper, ti diranno sempre che non c’è posto.
O, se proprio sono in vena, ti dicono di passare a vedere perchè non prendono prenotazioni.
Sanno che se li chiami così, non ti fermi tanto. Se va bene qualche notte.

Terminiamo la passeggiata nell’Oasi WWF delle Gole del Sagittario e ci avviamo verso il lago di Scanno.
La strada è stretta e mancano due giorni a ferragosto. Anche se con il camper siamo grossi, riusciamo a superare indenni l’ingorgo dei tornanti che fiancheggiano la gola e la diga.
Ovviamente una piazzola per noi c’è.
Anzi spazio ce n’è parecchio. Spazio libero, forse per le tende.

Piazzo il camper, incarichiamo i ragazzi di predisporre la nostra sosta (corrente, tavoli, sedie e veranda) e scendiamo al bar a prenderci un caffè: abbiamo trovato un buon posto dove stare, ce lo meritiamo.
Vi hanno messo su nella parte più tranquilla ?
Il barista, che Patty associa a Capitan America, si accerta che non siamo finiti in mezzo al caos delle tende.
E’ tradizione per i giovani della zona di Pescara, salire qui per ferragosto. Sono talmente arrembanti, che per questi giorni il campeggio rafforza la presenza della security
Ma dove siamo finiti ?

Effettivamente nelle prime ore della vigilia di Ferragosto, il campeggio si riempie.
Tende, tendoni, furgoni, auto.
Tavoloni e panche. Impianti stereo da millemigliaia di Watt.
Bottiglie di birra, vino e superalcolici.
E soprattutto tutto ciò che occorre per grigliare. Grigliare come se non ci fosse un domani.
Sempre. A tutte le ore. Giorno e notte.
C’è chi la accende in modo tradizionale.
Chi usa un lanciafiamme attaccato alla bombola del gas.
Ciò che però ci colpisce è che qui non usano i barbecue che siamo abituati noi a vedere nelle gite fuori porta di pasquetta.
Qui rigorosamente tutti con le griglie per cuocere gli arrosticini.
E le usano anche per grigliare il resto.
Quelle che per noi sono le salamelle, che qui invece è la “salsiccia”, vengono infilate negli spiedini metallici e passate su questa striscia di griglia.
Questo insieme così eterogeneo e casinista di giovani grigliatori, è distribuito negli spazi aperti, dove le piazzole non sono segnate.
E qui i lampioni non ci sono.
E così la notte bisogna ingegnarsi per “vedere” se la carne è cotta. Anche se credo che sarebbero in grado di mangiarsela pure cruda.
Ecco allora che ci sono gli incaricati di illuminare con il flash del telefono. Che hanno appena finito di ricaricare in bagno mentre si facevano la doccia.
E poi ci sono quelli esperti che sono arrivati preparati: lampada da scrivania con morsetto fermato sul cavalletto che regge la griglia.
Con chilometri di fili per arrivare alla colonnina più vicina.

Non so se le preoccupazioni del barista siano rimaste tali o se hanno avuto conseguenze pesanti.
Noi non abbiamo visto eccessi.
A parte l’acqua sempre fredda alle docce.
E in fondo, sia per l’età che per la loro spensieratezza, il sentimento più forte che abbiamo provato è stata un po’ di sana invidia.

 


Ferragosto

Scanno, il borgo dei fotografi.
Arrivandoci non sembra. E poi è ferragosto. Gente ovunque.
Scendiamo dalla corriera e cerchiamo le informazioni turistiche.
In attesa che apra, entriamo in un bar.
Duè caffè, grazie
Mentre cominciamo a scommettere su quanta costerà qui, ci giriamo e la parete del bar è ricoperta di fotografie. Quasi tutte in bianco e nero. Molte di Cartier-Bresson.
Dopo Messa, rapido spuntino e si comincia la passeggiata.
Essendo l’ora di pranzo poco per volta la folla diminuisce.
Effettivamente gli scorci sono caratteristici.
Il mio proposito di non esagerare con gli scatti trova supporto nel fatto che non è proprio l’ora migliore per farlo.

E’ ferragosto. Ricordo che sulle spiagge del ponente ligure oggi è il giorno dei gavettoni. O almeno così era, visti gli anni che non ci torno. Non è che in mezzo a questo splendore io sia così mal messo da pensare alla Liguria e alle sue usanze di metà Agosto.
Ma ci penso perché all’improvviso ne “cade” uno in strada.
Mancati.
Alzo lo sguardo e c’è un balcone. Ovviamente nessuno si fa vedere.
Mi apposto. Tanto ci riprova.

La porta sembra non esserci. Solo un tenda.
Scarpette da ginnastica. Rosse come i fiori.
Piccole come piccolo è il ragazzino che prova a centrare i turisti.
Mamma sta preparando il pranzo. E lui inganna il tempo.

Il minuti scorrono, ma nessun movimento si palesa.
Voi andate avanti, io sto ancora un po’ qui, tanto ora esce
Niente. Mi sa che sono finalmente a tavola anche loro.

Ancora un attimo e un soffio di vento muove la tenda.
Nella stanza buia si intravedono dei panni stesi.
Saranno di qui, o ci vengono solo in villeggiatura ?
In quanti saranno li dentro ?

Uno scatto solo.
Un ricordo di come con la fantasia io sia entrato in casa loro.

 


In formazione

Mare, montagne e borghi caratteristici. Riassunto fedele dei nostri quindici giorni in camper.
Così era pensato, così si è svolto. Come tutti gli anni.

Il centro Italia, soprattutto sugli Appennini, mette a disposizione così tanti Parchi Naturali che quando varchi il confine di uno, ti ritrovi subito dentro un altro. Il tutto arricchito da piccoli Borghi.
Stradine piene di curve, su e giù per questi crinali che ad Agosto sono terra bruciata. Ahimè non solo metaforicamente.
Certo diversi dalle nostre Alpi dove il verde non manca mai.
Piccoli borghi. Per lo più in pietra.
Alcuni conservati bene, senza costruzioni “moderne” che ne deturpano il paesaggio.
Altri … insomma.

Ci sono Borghi che sono molto caratteristici. Ma pare quasi, che pur se molto frequentati, non interessi a nessuno apparire agli occhi del mondo. Quasi preferendo che le masse di turisti restino alla larga dai propri vicoli.
Investire per attirare turisti per poi lamentarsi che sono troppi e che si è persa la tranquillità, oppure lamentarsi che qui non ci viene nessuno perché nessuno investe nel turismo ?

VIllalago è un po’ così.
E’ la vigilia di Ferragosto. E’ lunedì e c’è il mercato.
E pare ci sia una caccia al tesoro in corso.
Gente parecchia. Ma l’impressione e che siano i villeggianti che qui tornano tutti gli anni da sempre.
Un po’ come forse fu ad Amatrice nel terribile agosto dello scorso anno.

In chiesa ci sono le spoglie di San Domenico Abate che è tornato a Villalago, da lui fondata, dopo mille anni.
San Domenico che qualche paese più giù è protagonista della Festa dei Serpari.
L’eremita che a valle di Villalago si stabilì in un eremo, dove ahimè ci è stato impossibile fermarci con il Camper.

Saliamo i vicoli per arrivare alla torre.
Ci aspettavamo di poterci salire per ammirare il panorama.
Ahimè è chiusa. O meglio è chiusa da una grata che permette di vedere che dentro sono esposti abiti e attrezzi delle popolazioni locali.
Ma di salirci nessuna possibilità.
Il refrain è sempre lo stesso: “In Francia ti ci avrebbero fatto salire alla modica cifra di 20 Euro

Possiamo tornare indietro.
Formazione standard in assetto da visita turistica: zaini in spalla, con acqua e qualche spuntino.
E per Patty qualche indumento per potersi coprire all’ingresso delle chiese.
La formazione di quest’anno ha visto la novità di Andrea con binocolo in mano e compatta attaccata al mio piccolo cavalletto.
Quello che non è cambiato è il fatto che spesso e volentieri mi debbano aspettare perchè mi sono fermato a fotografare un mattone, un fiore o qualche altra diavoleria che ha catturato la mia attenzione.

Possiamo tornare indietro.
Fra poco arrivano gli amici che, scendendo per l’Adriatica, hanno accettato il nostro invito di passare a trovarci.
Un piatto di pasta preparata al volo e il piacere di quattro chiacchiere.

 


La piana

Uno scenario da favola che riassume i motivi per cui ho proposto alla mia famiglia, per le vacanze, di tornare in queste zone.
Castelluccio di Norcia.
Una piana di silenzio e di pace. Campi che alla fioritura delle lenticchie diventano un tripudio di colori.
Un catino che, quando ti affacci varcando il valico in arrivo da Norcia, ti toglie il fiato.
Location amata dai fotografi per le uscite notturne a caccia della Via Lattea.

Castelluccio colpita. Castelluccio Zona Rossa
Castelluccio dove, alla riapertura della strada, sono tornati i banchetti che vendono lenticchie.
Castelluccio da quì rimane quella che era. Non si vedono a occhio nudo, da qui, le macerie.
I ristoranti chiusi e le transenne che impediscono il passaggio.
Non si vede la casa che si è piegata appoggiandosi alla collina, ma che non è caduta.
Ma Castelluccio è anche restoinpiedi.com
Da questa foto non si vede neanche la faglia che sul monte Vettore ricorda cosa è successo alla terra.

A febbraio ad Amatrice avevo il compito di testimoniare ciò che vedevamo.
In questo viaggio ho voluto, soprattutto in questa tappa, raccontare il bello di questa terra.
Terra che vale la pena venire a visitare.
Non a caccia di selfie sulle macerie, ma anche solo per comprare qualche pacco di lenticchie: per noi sono una scaramanzia a capodanno, per la gente di qui è l’essenza della loro vita.

PS Sul crinale di sinistra si vedono un gruppo di alberi. Da questa angolazione non si comprende bene, ma sono messi li a formare la sagoma dell’Italia, isole comprese. Un motivo in più per venirci: per vederlo dal vivo e per far comprendere alle persone di qui che l’Italia è con loro.

 


Oltre le storie, magari un po’ imbellettate ma assolutamente vere, c’è qualcosa di più. Almeno per me.
Il percorso fotografico. Detto anche progetto
Le scelte e i motivi che mi hanno portato a raccontare questo viaggio, in questo modo.
Quelle robe che piacciono tanto a noi fotografi: professionisti o amatoriali non importa.

Non volevo in nessun modo tornare a scattare migliaia di foto. Cosa che è sempre successa nelle vacanze.
Mi sono prefissato di non mettermi li alla sera in campeggio sul portatile a ripassare le foto del giorno.

L’anno scorso, dall’altro lato dell’Adriatico in Croazia, il tema dominante delle mie foto è stato il tramonto sul mare.
Non volevo rifarlo con l’alba. Uscite all’alba sul mare ne ho fatte, ma come avete potuto vedere nessuna delle foto realizzate, per quanto mi piacciano, sono rientrate nella decina finale. Anche se sono stato tentato di inserire quella del primo mattino in compagnia di zio Illo.

Post produzione … il minimo indispensabile.
Formato tre mezzi. Possibilmente orizzontali.
Poco cavalletto. Composizioni pulite. Pochi fronzoli.
Meno uscite in solitaria alla ricerca della luce migliore.
Catturare il momento.
Meno cartoline con colori accesi.
Less is more.
Storie da raccontare.

E per finire qualche aneddoto tecnico pratico sulle singole foto.

Cinque anatre … è un errore. Non stavo cercando di fotografarle.
Ero nel letto del fiume, quasi alla foce. In attesa dell’alba.
La macchina era impostata per quello: le luci rosso fuoco del momento.
Per quanto mi muovessi piano cercando di non spaventare le anatre che stavano galleggiando li a pochi metri da me, ad un certo punto si sono mosse, hanno preso il volo. D’istinto le ho seguite ed ho cercato di fotografarle in volo.
Dal display ho visto subito che la qualità della foto non era in linea con il mio stile.
Ma erano 5. E subito mi è venuta in mente la canzone di Guccini.
Al ritorno al pc, dopo quindici giorni in cui non l’aveva più guardata, il primo impatto è stato di cestinarla.
Ma, di nuovo, il pensiero mi è andato a quel “forse una soltanto vedremo arrivare, ma quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare”
L’emozione ha avuto il sopravvento sulla folle ricerca di nitidezza e di colore saturo che troppo spesso mi incatena.
E quindi è diventata anche la prima storia. Emblema quasi di tutto il progetto.

Ave Maria invece è voluta. Come la scelta di svilupparla in bianco e nero.
Le parole del Guccio mi hanno scosso. Proprio perchè come lui con il pensionato, mi sono ritrovato a fantasticare sul perchè fosse li. E della storia della sua vita. Prima di accorgermi che prima di tutto meritava il mio rispetto. Lasciandolo in pace.

Nelle tre location fotograficamente desiderate (Rocca Calascio, Campo Imperatore e la Piana di Castelluccio) ci siamo stati.
In nessuna delle tre ho però trovato la luce che avrei voluto trovare. Per quello bisogna organizzarsi meglio.
Ciononostante sono contento di quello che sono riuscito a realizzare.
Proprio perché, come mi ero ripromesso di fare, sono meno “cartoline”. Difficilmente catturano i WOW o i like, ma sono fedeli riproduzioni della nostra storia quel giorno in quel posto.

La signora alla finestra è forse il ricordo fotografico che più mi rimarrà impresso.
Difficilmente interagisco, da fotografo turista, con le persone. E non so ancora cosa mi sia preso quando ho attaccato bottone.
Il dialogo è stato proprio quello riportato. Breve. Ma bello. Più della foto bella la loro mimica e le loro espressioni.

Il lago di campotosto il più difficile da fotografare. Mi sembrava proprio impossibile riuscire a comporre una foto degna di essere poi conservata.
Questa è la classica situazione in cui normalmente cerco il cielo in fiamme e i riflessi oro sul lago. Ma li non c’erano. I timidi raggi di sole hanno aiutato. Ma senza i due vecchietti forse non l’avrei fatta o conservata.
Tecnicamente è l’unica in cui ho dovuto/voluto lavorarci al pc. Non tanto per i colori che sono rimasti fedeli a ciò che vedevo, quanto perché la foto è l’unione in panoramica di 15 scatti verticali.

L’idea di fotografare gli arrosticini mi è venuta vedendo il fumo illuminato dai telefonini.
Visto l’assenza di luce ho cercato di farlo riducendo i tempi e alzando gli iso.
Fra la decina di scatti fatti, questa è quella che mi piace di più soprattutto per il disegno che fa il fumo. Forse avrei ottenuto un risultato migliore se mi fossi avvicinato. Ma non volevo disturbarli. E forse non volevo testare se davvero c’era bisogno della security.

Il gavettone di ferragosto a Scanno mi è sembrato, da subito, il classico esempio di street in cui trovi la composizione e la luce giusta. E poi ti apposti in attesa che accada ciò che deve accadere. Non è più uscito il ragazzino. Ma alla fine il vento sulla tenda ha dato comunque un senso all’attesa.

Oltre al racconto questo progetto mi ha aiutato a vedere meglio ciò che stavo fotografando.
Chissà se sono riuscito davvero a superare le catene che mi sono stretto intorno alla mente ?

 

 

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